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Le ricerche di Giorgio Vallortigara, uno degli scienziati italiani più noti a livello internazionale per le sue indagini sui meccanismi neurali della cognizione animale, stanno ridisegnando il confine tra la biologia e il mondo astratto delle speculazioni metafisiche. Ne è un esempio questo saggio affascinante sull'imprinting e l'origine della conoscenza che vede protagonisti i pulcini, oggetto di studi sperimentali condotti per quasi trent'anni in parallelo con quelli sui neonati umani. Tali studi ci mostrano come, prima di qualsiasi esperienza specifica di apprendimento, un pulcino conosca le proprietà meccaniche degli oggetti e sappia che essi non solo occupano un determinato spazio con specifiche proprietà euclidee ma possono essere dotati di certe «numerosità», che è in grado di stimare eseguendo in maniera non verbale e non simbolica le quattro operazioni dell'aritmetica. Così, fin dalla schiusa, il pulcino sa ravvisare gli indizi della presenza nel mondo di creature animate, quali un volto o la semovenza, presupposto per la costruzione di un cervello sociale. Alla luce di queste scoperte, la contrapposizione tra eredità e ambiente, natura e cultura appare irrimediabilmente datata. La mente, argomenta Vallortigara, non è una tabula rasa. L'apprendimento dall'esperienza è possibile solo se il sistema nervoso possiede in partenza una struttura atta a favorirlo. Le ricerche sui pulcini corroborano dunque la tesi delle conoscenze innate sintetizzata da Lorenz nell'espressione «l'a priori kantiano è un a posteriori filogenetico». Una sapienza di cui non siamo depositari esclusivi: condividiamo schemi di comportamento, predisposizioni, emozioni, organizzazioni neurali con creature da cui ci dividono trecento milioni di anni di evoluzione. Come i piccoli dell'uomo, anche i «pulcini di Kant» cercano la mamma. Divertono, commuovono e fanno pensare. |