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Viviamo da tempo un clima di ritorno all'ordine associato a un quadro d'insieme caratterizzato da una razionalità illusoria, che ha nel mondo del lavoro il suo campo d'elezione con conseguenze ambientali, economiche e sociali gravi. Lottare in filosofia per qualcosa di diverso richiede un realismo dell'attività, attenuando pazientemente l'antropocentrismo. L'uomo, che senza sosta pretende d'innalzarsi sul resto dell'esistente, continua a vedersi come componente attiva per eccellenza attraverso la coscienza di cui dimentica il suo essere prima di tutto un “luogo comune” (fatto in comune), prodotto dagli esistenti con chi apre gli occhi su di essi senza avere all'istante pensieri distinti. La coscienza non è subito “nostra”. Lo diventa nella “privatizzazione” in cui sorgono soggetto e oggetto; indispensabile, quest'ultima depotenzia però la rappresentazione viva di ciò che non preesiste a un farsi insieme di attrazioni, di intimità variabili, di quasi-uno in un incessante individuarsi che è “non possedere se stesso”. Il cuore dell'essere cos, in modo paradossale ma non contraddittorio, “non possedere l'essere”. |