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Nel processo inquisitorio romano-canonico, una rigida applicazione delle regole del sistema di prova legale non avrebbe reso possibile la condanna di un imputato gravato da soli indizi e presunzioni, ponendo non pochi ostacoli all’amministrazione della giustizia criminale, orientata al principio dell’interesse pubblico alla persecuzione dei reati. Un’affermazione di Innocenzo IV contenuta nel commento al c. Quia verisimile (X 2.23.10) aprì la via alla condanna presuntiva: il giudice avrebbe potuto condannare l’imputato in assenza di piena prova, a patto di infliggere una pena ridotta. Nella sua formulazione originale la massima innocenziana non rappresentava più che una raccomandazione di prudenza. Fu l’elaborazione dottrinale a trasformarla, oltre le intenzioni del suo autore, in uno strumento capace di incidere sulla teorica rigidità del sistema di prova legale, ammettendo discrezionalità nel modulare la pena e nell’applicarla anche in situazioni di carenza di prova. In questo dibattito, che il presente studio intende analizzare nelle sue tappe fondamentali, il contributo dei decretalisti ha avuto un peso di primo piano: anche per tale via si manifesta il ruolo centrale assunto dalla scienza canonistica nella riflessione dottrinale sulla teoria della prova legale. |