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Il presente saggio analizza la relazione difficile tra, da una parte, la tragedia del Cinquecento come nuovo genere letterario che si basa su contemporanee riflessioni teoriche e il petrarchismo “ortodosso” fondato da Pietro Bembo dall’altra parte. La Poetica di Aristotile presuppone che la letteratura debba essere prodotta servendosi di uno stile gradevole,“dolce”. Questo presupposto si riferisce a tutti i generi letterari, dunque anche alla tragedia. Per autori e teorici della letteratura nel Cinquecento italiano uno stile “dolce” era inevitabilmente uno stile petrarchesco. Perciò da un punto di visto aristotelizzante la tragedia del Cinquecento doveva essere, stilisticamente, una tragedia sotto il segno del petrarchismo. Scrittori di tragedie come Giraldi e Speroni lottavano con questa situazione, offrendo diverse soluzioni del dilemma che stile petrarchesco e soggetto tragico non si combinano facilmente. Solo il dramma pastorale avrebbe offerto i mezzi per risolvere questo nodo gordiano. This article deals with the complex interrelation between Cinquecento tragedy as a newly established literary genre, strongly based on contemporary poetological reflexion, and the “orthodox” petrarchism founded by Pietro Bembo. Aristotle’s Poetics presuppose that literature must be written in an agreeable “sweet” style. This postulation applies to all literary genres including tragedy. For Italian Cinquecento authors and literary theorists, “sweet” style was inavoidably Petrarchan. Therefore Cinquecento tragedy would need Petrarchan diction to be “correctly” written from an Aristotelianizing point of view. Writers of tragedy, including Giraldi and Speroni, struggle with that situation, offering different solutions of the dilemma that Petrarchan style and tragic subject are not easily combinable. Only in the pastoral drama would this Gordian knot be solved. |