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Una tradizione letterario-filosofica (che dalla scuola pitagorica si tramanda all’incirca fino all’epoca copernicana) considera la musica non solo vero e proprio linguaggio, ma linguaggio privilegiato, linguaggio universale. La musica è ritenuta lingua della Creazione, comprensibile da tutte le creature e persino espressione impalpabile dell’organizzazione dell’universo. Tra il 16 e il 18 sec., la musica, ideale traduzione degli affetti, evolve verso la codifica di una propria forma d’eloquenza adattando alla sua grammatica le regole dell’ars rhetorica.Con la scoperta del repertorio, dello strumentario e dell’estetica musicale convenzionalmente definiti antichi, il 20 sec., ritrova e approfondisce le concezioni arcaiche recuperate dal Rinascimento e riconsidera il discorso musicale in tutta la sua complessità. All’arte dei suoni si riassocia la qualità di trasmissione eccellente, mezzo incomparabile per comunicare quanto la parola non riesce ad esprimere (evocazione del non-detto, del sottaciuto). Nell’ambito di questi approfondimenti, si svolgono le ricerche condotte in Linguadoca dall’associazione NEA (filiazione francese del Centro per la Musica Antica Practica Musicae di Genova) in collaborazione con la Facoltà di Architettura dell’Università di Genova.Il lavoro si concentra sulla ricchezza di possibilità interpretative offerta dal repertorio detto antico e, in particolare, sulla molteplicità di aspetti che comporta l’attenzione al discorso musicale illustrato dalla partitura. Un interesse peculiare viene ad avere così il dialogo, che nasce tra le sonorità di strumenti appartenenti a famiglie diverse tra loro o, ancora, la partita di domande e risposte che s’instaura tra il suono e il luogo. |