Giusti M. (2017), Teorie e metodi di pedagogia interculturale, Roma-Bari, Laterza

Autor: Margherita Cardellini
Přispěvatelé: Margherita Cardellini
Jazyk: italština
Rok vydání: 2018
Předmět:
Popis: Sin dalla premessa – che annuncia una particolare attenzione nei confronti di insegnanti, educatori, dirigenti scolastici, studenti, genitori, amministratori pubblici e, più in generale, verso tutti coloro che si occupano di educazione – il volume di Mariangela Giusti sembra voler avvertire il lettore di un taglio particolarmente attento alla relazione tra prassi e teoria. L’autrice auspica sin dalle prime pagine una sempre maggiore giustizia sociale sostenuta anche dal pensiero interculturale veicolato, in primo luogo, nei luoghi dell’educazione. La pedagogia interculturale, pertanto, potrebbe e dovrebbe farsi portavoce della costruzione di un «sistema educativo ispirato alle idee dell’intercultura, in modo da assimilare idee e modi per diventare giovani adulti e poi adulti idonei alle nuove società in trasformazione e non chiusi ad esse» (p. 12). Per fare questo, la pedagogia interculturale avrebbe, secondo l’autrice, almeno tre compiti da portare avanti: Trasmettere una visione positiva delle migrazioni; Aumentare la comunicazione interpersonale; Costruire un’idea di cultura aperta. Infatti, il primo compito della pedagogia interculturale sarebbe appunto quello di veicolare un’accezione positiva del tema migratorio, aprendo lo sguardo dei giovani verso un panorama dal respiro internazionale, laddove il possibile è sempre più concreto e plurale, laddove le ambiguità non sussistono come stonature, ma solo come possibilità differenti da utilizzare e comprendere vicendevolmente. Per far questo, sembra davvero importante sostenere la comunicazione interpersonale, quella che aiuta a incontrare l’altro all’interno di una relazione dove uguaglianza e differenza possano coesistere grazie al rispetto, senza sottrarsi al conflitto. Questo processo sosterrebbe il rafforzarsi di una cultura aperta, «una cultura cresciuta nel tempo e nello spazio fra i popoli» (p. 22). La prima parte del libro, dal titolo «Per una pedagogia della costruzione», si impegna a ri-costruire l’oggetto di studio della pedagogia interculturale, con una particolare attenzione al tema delle migrazioni, ma senza dimenticare l’eterogeneità e multi-cromaticità di ciò che, oggi, significa intercultura. Oggiorno, infatti, l’intercultura è abitata «da bambine e bambini, ragazze e ragazzi nativi, figli di famiglie native, con i loro alberi genealogici da parte di entrambi i genitori radicati negli stessi territori geografici, storici, culturali, almeno da alcune generazioni. Altri allievi sono nati altrove, in altre regioni italiane o in altri paesi europei o extraeuropei, e sono giunti nelle città e nelle scuole dove sono iscritti in seguito alle migrazioni. Altri allievi ancora sono nati in Italia, ma da genitori stranieri. […] In certi casi sono bambini che hanno vissuto fino a sei/sette anni in orfanotrofi di paesi sperduti e lontani. […] In altri casi ancora gli allievi in classe sono bambini o ragazzi arrivati in Italia da soli sui barconi delle migrazioni di massa degli ultimi anni» (p. 35). La possibilità e la sfida dell’intercultura è quella di poter tenere insieme questa diversità, nel rispetto dei differenti bisogni specifici e nella forza delle somiglianze che accomunano gli esseri umani. La risposta metodologica a questa complessa sfida è possibile ritrovarla nella seconda parte del libro, chiamata appunto «Laboratori, metodi ed esperienze di didattica interculturale». L’autrice, dopo aver costruito il quadro concettuale, si inoltra in sentieri metodologici e didattico-educativi, offrendo spunti di riflessione, talvolta agganciati anche a esempi concreti come il caso di Anbar e il velo, giovane adolescente figlia di genitori marocchini e islamici osservanti, sorpresa dalla madre senza velo, rimproverata e picchiata di fronte a insegnanti e compagni e successivamente ritirata da scuola. Nonostante il tentativo di mediazione con la famiglia sia fallito, è stato necessario intraprendere un percorso educativo di tipo interculturale con compagni di classe e insegnanti, spaventati, preoccupati, pieni di domande e di bisogno di ri-elaborare e dare significato all’accaduto, cercando di comprendere insieme quale fosse il disagio di Anbar, le ragioni della famiglia e il dovere educativo della scuola nei confronti di questa giovane. E ancora, il caso di Sheneeza, ragazzina proveniente dal Pakistan, apparentemente timida, silenziosa e diffidente e sostenuta magistralmente da un’educatrice e una docente nella scoperta condivisa delle sue potenzialità linguistiche, comunicative e relazionali. E, in ultimo, il caso di Iram, ragazza araba proveniente dal Pakistan, che ha avuto l’occasione di raccontare e raccontarsi al gruppo classe grazie allo strumento delle biografie linguistiche, in un clima di rispetto reciproco; un’occasione per conoscere e riconoscere gli stereotipi e i pregiudizi, guardarli in faccia e provare a de-costruirli insieme nello spazio della relazione, in direzione di un sincero riconoscimento reciproco. Il libro si apre a una speranza appoggiata su basi di realtà e di utopia, con un’attenzione a ciò che oggi può cambiare e a ciò che potrà cambiare in futuro se si accetterà di cominciare a concepire l’intercultura come una concreta risorsa, investendo e progettando sulla sua promozione a partire dalla prima infanzia. Una parola spesso utilizzata dall’autrice nel libro è fiducia, «fiducia nel fatto che le attività proposte dalla scuola potranno avere ricadute positive anche nei retroterra familiari e sociali degli studenti stessi» (p. 172) e «fiducia che il pensiero interculturale possa essere trasmesso e possa crescere a scuola e nei luoghi dell’educazione, per poi riversarsi in comportamenti positivi al di fuori della stessa scuola» (p. 11).
Databáze: OpenAIRE
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