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Il sistema della contrattazione collettiva nazionale disciplinato dal d.lgs. n. 165/2001 delinea un insieme non irragionevole di regole organizzative, che affondano le radici nel principio di buon andamento e nel principio di legalità, destinati a sovrintendere l’attività della PA ai sensi dell’art. 97 Cost. Per quanto attiene alla definizione dei comparti e delle aree dirigenziali per la contrattazione collettiva nazionale – che l’art. 40, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 rimette ad appositi accordi conclusi tra Aran e confederazioni sindacali cui siano affiliate organizzazioni rappresentative in almeno due comparti o aree – è da escludere, per manifesta infondatezza, la proposizione di quesiti di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 2, 3 e 39 Cost. Il rischio che la rappresentatività di un’organizzazione sindacale radicata in una determinata articolazione della PA si affievolisca, se misurata in relazione all’intero comparto o area dirigenziale, non consentendo il raggiungimento della soglia minima del 5% per l’accesso alle trattative, è compensato, infatti, da esigenze di semplificazione della contrattazione e di buon andamento dell’amministrazione, che impongono di contenere il numero di soggetti ammessi alle trattative. La valutazione non muta se si considera la protezione del principio di libertà sindacale e del diritto alla contrattazione collettiva nell’ordinamento UE e nel diritto internazionale del lavoro, atteso che il sistema delineato dal d.lgs. n. 165/2001 riconosce l’esistenza e tutela l’operatività delle formazioni sociali espressione dei lavoratori, limitandosi a regolarne la coesistenza, sotto il profilo degli effetti della contrattazione nel settore pubblico. |