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Introduzione Vibrio parahaemolyticus è un bacillo gram-negativo, alofilo, naturalmente presente nelle acque marine e di estuario ed è riconosciuto responsabile di zoonosi alimentari in tutto il mondo. I molluschi bivalvi, in quanto filtratori, possono concentrare questo batterio fino a 100 volte rispetto all’ambiente circostante, pertanto vongole ed ostriche, che vengono spesso consumate crude, rappresentano alimenti potenzialmente in grado di veicolarne dosi infettanti [1]. Generalmente gli isolati ambientali della specie V. parahaemolyticus non posseggono i caratteri di patogenicità correntemente considerati, ovvero uno o entrambi i determinanti che codificano per l’emolisina TDH (thermostable direct hemolysin) e TRH (thermostable-related hemolysin) rispettivamente, ed in tali condizioni non causano alcuna infezione [2]. L’infezione conseguente al consumo di alimenti contaminati da ceppi patogeni si presenta generalmente come una gastroenterite di lieve o moderata entità ed autolimitante, con meno del 40% di casi richiedenti ospedalizzazione e/o terapia con antibiotici. Tuttavia, in individui particolarmente suscettibili, l’infezione può esitare in setticemia. I soggetti particolarmente a rischio sono quelli con diabete, gravi epatopatie o nefropatie, cancro, nonché quelli con compromissione del sistema immunitario conseguente ad infezione da HIV o terapie immunosoppressive. Inoltre, sono segnalati rari casi di infezioni di ferite [3-4]. Secondo uno studio della Food and Drug Administration, U.S, [5], una dose infettante pari a 108 microrganismi in totale può causare infezione nel 50% degli individui, mentre una dose pari a 103-104 ha una scarsissima probabilità di causare infezione (p |