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Le periferie sono luoghi, ma anche metafore: in entrambe le accezioni, sono sterminate. Sono fatte di palazzi, parchi pubblici e piazze, ma anche di sentimenti, emozioni, storie di vita. Dimenticate dalle guide turistiche, dalle linee ferroviarie e dalle politiche centrocratiche, mostrano i segni delle diseguaglianze e delle ingiustizie che caratterizzano il nostro tempo, ma possono costituire terreno fertile per sperimentare cambiamento. Più ancora che nei centri, è lì che gli insegnanti, gli educatori, i pedagogisti, gli amministratori, gli operatori sociali e di comunità possono coinvolgere gli abitanti, soprattutto i più giovani, rendendoli protagonisti di processi di trasformazione virtuosa. Succede nelle borgate romane che care furono a Pier Paolo Pasolini e a Elsa Morante, nei rioni napoletani degli infaticabili maestri di strada, nella Palermo in cui Giuseppe Puglisi divenne Beato, nelle banlieue infuocate di Parigi e Marsiglia, in certi quartieri della piovosa Glasgow. Conoscere le periferie, i loro problemi endemici, ma anche le risorse, costituisce il primo passo per andare oltre lo stigma e penetrare nella complessità che le caratterizza, per progettare interventi che possano essere capiti, sostenuti, valorizzati, rispettati. In ultima istanza, gioiti. |