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Per la prima volta, la Corte di cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del rifiuto opposto dall’ufficiale di stato civile a procedere, in sede di formazione dell’atto di nascita, all’indicazione della paternità di una bambina nata a séguito della fecondazione in vitro dell’ovulo materno, effettuata all’estero con il seme del marito dopo la sua morte. L’illegittimità di tale rifiuto discende, secondo la Suprema Corte, dalla circostanza che la madre, in sede di dichiarazione di nascita, aveva esibito la documentazione clinica estera comprovante l’avvenuto ricorso da parte della coppia coniugata alle pratiche procreative, nonché una dichiarazione scritta del marito autorizzante l’utilizzo del proprio seme anche post mortem. L’autore, nel ripercorrere l’iter argomentativo della decisione del Supremo Collegio, si sofferma sui plurimi problemi connessi all’attribuzione dello status filiationis a colui che nasca a séguito di fecondazione omologa, alla luce del disposto dell’art. 8, l. n. 40/2004 e delle conferenti disposizioni del codice civile, sottolineando i possibili inconvenienti insiti nelle tesi fatte proprie dalla pronuncia in commento, non senza peraltro trascurare la questione dei rapporti tra giudizio di rettificazione degli atti dello stato civile e giudizio di stato. |