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In contrasto con l’opinione prevalente nelle istituzioni di regolazione macroeconomica dell’Eurozona, che attribuiscono la recente esplosione del rapporto debito pubblico/Pil avvenuta in alcuni Stati membri al fatto di aver vissuto " al di sopra delle proprie possibilità" , nel presente contributo suggeriamo un'interpretazione alternativa del fenomeno. Facendo affidamento su alcune evidenze empiriche, sosteniamo invece che il crescente indebitamento di alcuni Stati membri sarebbe l'effetto congiunto di tre diversi fenomeni: (a) la propensione del settore finanziario all’assunzione di elevati rischi (una caratteristica peculiare del modello neoliberista di regolazione macroeconomica), tendenza che mette periodicamente il settore pubblico di fronte alla necessità di intervenire per salvare dalla bancarotta banche e altre istituzioni finanziarie; (b) la peculiarità del modello di regolazione macroeconomica adottato dall’Eurozona, che non prevede alcun meccanismo automatico di aggiustamento degli squilibri commerciali e in cui, quindi, i flussi di capitali compensativi tendono ad innescare bolle speculative nei paesi in deficit; (c) la strategia di contrasto alla crisi scelta dall’UE, caratterizzata dall’inasprimento della già rigida disciplina fiscale prevista dal Trattato istitutivo per effetto dell’entrata in vigore del Fiscal Compact e dei cosiddetti Two Pack e Six Pack. In sintesi, l’indagine suggerisce che l’esplosione del debito sovrano nell’UE sia una spia della crisi della filosofia neo-liberista di regolazione macroeconomica incarnata dal Trattato di Maastricht, basata sul sostanziale esautoramento dei governi dalle funzioni allocative e sul loro trasferimento alle spontanee forze di mercato. I venti anni di vita dell’Eurozona sembrano infatti dimostrare che l’aggiustamento degli squilibri commerciali in un’area a moneta unica sia difficilmente realizzabile attraverso l’operare di mercati deregolamentati senza il supporto di politiche fiscali anticicliche. |