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Carlo di Borbone fu per Napoli, e non solo, un re illuminato: l’architettura e lo sviluppo urbanistico ebbero momenti felici grazie alle sue iniziative e dopo lo stallo dell’ultima fase del viceregno. Anche il periodo austriaco, che aveva avuto il merito di cercare di sprovincializzare l’amministrazione, la politica e la cultura, non riuscì a intervenire in modo significativo sulla città. La ricerca di una riserva di caccia in città, fu tra le prime intraprese del giovane sovrano (1735), che scelse l’area collinare di Capo di Monte salubre, panoramica, vicina al centro urbano ma non molto appetibile per le impervie vie di accesso. La zona presentava un carattere agricolo, sfruttata da masserie, prevalentemente di proprietà ecclesiastica. La coraggiosa scelta del re cambiò il destino del sito, che si sviluppò da riserva di caccia in parco reale con un sontuoso palazzo. Ma il primo Sito reale borbonico fu messo in secondo piano da Portici e Caserta; il primo per il rapporto con i siti archeologici, il secondo perché manifesto del casato per la sontuosità e la dimensione a scala urbana. Con il Decennio francese Capodimonte fu investito da un rinnovato interesse grazie alla posizione di sentinella sulla città e poiché offriva facili vie di fuga per i re francesi, mai veramente accettati dalla popolazione napoletana. Il palazzo fu finalmente abitato, il sito fu ingrandito con nuove acquisizioni fondiarie e soprattutto dotato di idonee strade d’accesso. Oramai facilmente raggiungibile Capodimonte fu completato durante la Restaurazione a circa cento anni dalla sua nascita. Come sempre l’iconografia urbana racconta lo sviluppo di questa parte di città, molto nota per la trasformazione della reggia in Museo Nazionale di Capodimonte (inaugurato nel 1957)1 e meno per la lunga vicenda costruttiva che ci ha consegnato il primo Sito reale dei Borbone di Napoli. |