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Diverse sono le domande che sottendono questo saggio, che proverà a essere uno strumento sia per introdurre alcune questioni relative alla pedagogia della composizione architettonica e al lavoro dell’architetto ma anche, o forse soprattutto, per ampliare una discussione critica nel nostro tempo presente fondamentalmente immerso nella realtà virtuale e nei meccanismi che ci rendono dipendenti dall’esperire immagini tramite dispositivi digitali in fretta. A partire dalla più ovvia: quale è ancora la necessità di imparare a pensare, progettare e costruire modelli fisici in scala, oggetti strumentali che potrebbero apparire – ad uno sguardo iper-contemporaneo – insostenibili, inattuali e soprattutto sovrapponibili e potenzialmente sostituibili d’emblée da pratiche più performanti, economiche e facilmente condivisibili? Quale ruolo possono assumere alcuni tipi di modelli in scala per delineare gli argini della comprensione del reale allo scopo di educare la mente a pensare lo spazio? Quali caratteristiche specifiche possiedono certi modelli fisici tali da poter resistere come elementi portatori di senso, nella incessante evoluzione tecnologica nella quale agiamo? |