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Nel corso degli ultimi anni, gli episodi di criminalità minorile stanno subendo un incremento senza precedenti, con conseguenze sociali che destano allarme e sbalordimento e meritano, senz’altro un approfondimento sociologico. I giovani, quasi sempre minori e/o ragazzi poco più che maggiorenni, uniti in branco, compiono atti di efferata violenza e vandalizzano spazi pubblici, dando vita alle cosiddette baby gangs. Ma le street gangs e le bande giovanili non sono un fenomeno solo contemporaneo, in quanto, il rapporto tra delinquenza e gioventù ha radici molto più antiche, configurandosi in maniera più strutturata e con caratteristiche simili a quelle odierne, a partire da fine Ottocento. Il contributo analizza, dunque, il fenomeno, attraverso alcune delle principali teorie sociologiche della devianza e delle subculture devianti, evidenziando come, nonostante le street gangs, siano storicamente presenti nella “metropoli moderna”, esse assumano caratteristiche peculiari in rapporto a contesti urbani diversificati, connotandosi in maniera inedita nell’epoca contemporanea, anche per effetto dell’utilizzo pervasivo dei media digitali da parte dei giovani e della influenza della narrazione immaginaria sulla criminalità, proposta soprattutto dalla fiction. Il contributo evidenzia anche le plausibili interrelazioni del fenomeno con la crisi delle tradizionali agenzie di socializzazione. Pare che sia proprio questa tendenza alla deresponsabilizzazione educativa del mondo adulto ad aver creato un pericoloso vuoto pedagogico che si ripercuote nel processo di formazione della personalità. Uno stato psicofisico gravoso e alienante rispetto al quale la violenza di gruppo offrendo una valvola di sfogo all’aggressività incamerata, diventa sempre più per i nostri adolescenti una potenziale e purtroppo “accattivante” via di fuga. |