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Nel mese di settembre del 2014 si è svolto a San Venanzo, in Umbria, il II Convegno internazionale nell'ambito dell'evento Architettura e Natura, premio Simonetta Bastelli. Con l’obiettivo di fornire idee, contributi ed esperienze per la costruzione del paesaggio futuro, il Convegno ha avuto come tema conduttore le modalità di intervento nel paesaggio. La pubblicazione comprende gli interventi di tutti i relatori e rappresenta in pieno il valore scientifico e illustrativo del convegno. La pubblicazione, che comprende gli interventi di tutti i relatori suddivisi in quattro blocchi propedeutici e collegati (le opinioni, i temi, i progetti e i contributi), rappresenta in pieno il valore scientifico ed illustrativo del convegno. Il volume appartiene alla collana "Paesaggi: città, natura, infrastrutture" dell'editore Franco Angeli, Milano e, come tutti i lavori pubblicati nella collana, è sottoposto a revisione con garanzia di terzietà (blind peer-review). Il contributo di Annalisa Metta è una riflessione sull'evidenza che occuparsi di paesaggio significhi occuparsi di azioni. Il paesaggio viene attivato in primis dall’osservazione e dall’esperienza: è frutto di azioni percettive, atti di coscienza, all’interno di meccanismi di riconoscimento culturale. Paesaggio è al pari frutto di gesti e interventi che si compiono concretamente sui luoghi, trasformandoli, dunque di azioni costruttive. Insistere sulla necessità che il paesaggio debba essere attivato, attraverso una sensibilità ricettiva e attenta (competenza di ascolto e di sguardo: saper vedere) e un’attitudine inventiva (competenza di trasformazione, anche quando si tratti di “conservare”: saper immaginare e saper fare), significa affermare che il paesaggio non possa essere interpretato se non in termini progettuali. Ogni paesaggio, di qualsivoglia carattere, temperamento, qualità, estensione, è, inevitabilmente, frutto di azioni creative: tali sono il saper vedere e il saper anticipare. Paesaggio è dunque, necessariamente, progetto. Rivolgersi al paesaggio attraverso il filtro delle azioni percettive o trasformative che su di esso si compiono consente di superare un’impasse ove talvolta si incaglia il discorso sul progetto dello spazio aperto: la definizione delle categorie di intervento spaziali e dimensionali che ineriscono l’architettura del paesaggio. Le prime manifestano i propri limiti soprattutto se riferite alla città e, in particolare, allo spazio pubblico. Anche grazie alla forte anticipazione diagnostica svolta da sguardi complementari a quello del progettista - lo sguardo degli artisti e dei fotografi, ad esempio -, sappiamo ora riconoscere inediti spazi potenziali dell’abitare all’aperto collettivo in luoghi che divengono sede della vita condivisa delle comunità, spesso con livelli elevati di mutevolezza e impermanenza delle proprie geografie funzionali, comportamentali, amministrative e tipologiche. La seconda questione, quella riferita alla definizione di quale sia la dimensione legittima per il progetto del paesaggio, trova nella cultura italiana il suo punto di catastrofe soprattutto nelle modalità operative con cui si conducono le trasformazioni dell’habitat, distinguendosi nettamente le procedure e le competenze culturali, tecniche e giuridiche che governano la dimensione dell’architettura da una parte e quella vasta della pianificazione dall’altra. |