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Lo scenario urbano attuale impone un cambio di punto di vista rispetto alla città europea tradizionale, ormai da qualche decennio. Gli insediamenti, diffusi nel territorio, e la natura devono essere immaginati come un unico insieme da pianificare. Alla presa di coscienza di tale fenomeno, descritto e celebrato ampiamente negli anni Novanta, non è seguita una pratica progettuale o una definizione teorica operativa, malgrado l’urgente necessità di una pianificazione strutturante, che affronti anche il problema ambientale. Tuttavia l’idea di un diverso rapporto tra città e territorio è parte integrante della cultura europea del Novecento; parallelamente allo sviluppo della città industriale esiste una tradizione di disurbanismo, alimentata da teorie, progetti, modelli, che propone una visione diversa del paradigma città-campagna. Pagando il giusto debito alla città-giardino di Howard e Unwin, dalla fine della seconda guerra mondiale in molti vedono nella città compatta l’origine di disuguaglianza sociale e alienazione dalla natura; l’elaborazione di un’altra città va di pari passo con l’affermazione dell’architettura del Movimento Moderno in diversi contesti. Nella neonata Unione Sovietica i costruttivisti elaborano una potente visione disurbanista, che inizialmente influenzerà i progetti tedeschi, olandesi e in un secondo momento anche quelli italiani, prima di espandersi come tendenza generale costante nella cultura architettonica occidentale, ricca di proposte concrete e visioni teoriche, più o meno illustri. Tale contro-storia della città del Novecento costituisce un patrimonio, consistente e profondo, che può essere riconsiderato e rielaborato per il progetto del territorio europeo contemporaneo. |