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Il contributo esamina la posizione di Giovanni Sgambati rispetto alle due tradizioni continentali di riferimento, l’italiana e la tedesca. Affronta al contempo un nodo storiografico intricato, che riguarda i rapporti tra musica italiana e musica tedesca sul piano della composizione strumentale nel XIX secolo. Già dall’inizio dell’Ottocento incominciano infatti a radicarsi nella pubblicistica le contrapposizioni “melodia italiana-armonia tedesca” e “vocalità italiana-strumentalismo germanico”, conformemente a un modello rappresentativo artificioso, secondo cui l’Italia sarebbe stata quasi esclusivamente il paese della lirica vocale. L’opera di Sgambati si colloca pertanto nel quadro di quella contrapposizione fra musica italiana e musica tedesca che, quale risultato di un processo storico di lunga arcata, affiora con lampante evidenza nel secondo Ottocento, imponendo al contempo la Germania come imprescindibile modello per tutti coloro che, in Italia, cercavano d’introdurre un rinnovamento della cultura musicale, fuori dagli schemi della tradizione operistica. Sgambati, come gli altri compositori italiani di musica strumentale dell’epoca, partiva da una posizione di svantaggio, quasi di sudditanza psicologica rispetto al mondo germanico, generata da una serie di dinamiche che riguardano aspetti non soltanto culturali, ma anche commerciali ed economici. Nonostante la tendenza della critica internazionale a ricondurne la posizione in una cornice tutto sommato di natura italiana (si giungeva perfino a parlare di tradimento delle origini quando il linguaggio del compositore romano mostrava deviazioni da quello che era considerato il canone “autoctono”), Sgambati è stato considerato in Italia uno dei grandi campioni dello strumentalismo nazionale, tanto che i musicisti italiani più “progressisti” pensarono di poter vedere in lui un rappresentante della musica “elevata”, ispirata ai modelli mitteleuropei. |