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Uno dei problemi principali sottesi all’insegnamento e, ancor prima, allo studio di discipline arabo-islamiche è la necessità di scardinare pregiudizi e stereotipi, tanto superficiali e generalizzanti quanto dilaganti e profondamente radicati nella mentalità e nell’opinione comuni occidentali. Nutrita da una visione eurocentrica e gerarchizzante del mondo e delle culture, che da secoli impera incontrastata contri- buendo a fomentare pregiudizi e diffidenze nei confronti dell’altro arabo e/o musulmano, l’immagine parziale e stereotipata di kamikaze, concubine e fondamentalisti ha progressivamente sostituito – sovrapponendosi ad essa – l’essenza caleidoscopica della cultura araba, negandone gli aspetti positivi o – nella migliore delle ipotesi – relegandoli in un passato remoto ormai irrimediabilmente perduto. In un siffatto contesto culturale, la stigmatizzazione di pratiche e comportamenti negativi riconducibili a singoli casi, fenomeni isolati all’interno del variegato e composito “mondo arabo-islamico”, ha generato, attraverso una arbitraria amplificazione sineddotica di matrice ideologica e di carattere mediatico, un sentimento di diffidenza e, talvolta, addirittura di disprezzo nei confronti della cultura arabo-islamica tout court. È ovvio che, in un simile contesto, parlare di umorismo arabo possa apparire alquanto strano agli occhi del lettore poco esperto. Fortunatamente, il saggio in questione costituisce un potente antidoto demistificatorio, in grado, grazie alla scorrevolezza dello stile narrativo e al potere catartico di proverbi, vignette e barzellette, che si susseguono copiosi all’interno del testo, di restituire alla cultura araba un po’ della sua leggerezza e positività. |