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Attraverso il filtro di un'antropologia asimmetrica, il saggio presenta alcune riflessioni sulle donne di mafia. Proponendo l’ascolto delle loro parole; riconoscendo il potere e il ruolo del linguaggio femminile nei processi di fuoriuscita dai contesti mafiosi e ribaltando il punto di osservazione che ha contraddistinto a lungo gli studi e le riflessioni: dalla prospettiva maschile a quella femminile, dall’etero all’auto rappresentazione. È un universo femminile variegato. Difficile da raccogliere in un’unica definizione; che registra profonde differenze, quando incrocia contesti territoriali e criminali differenti (quelli di Cosa Nostra, della ‘Ndrangheta, della Camorra, della Sacra Corona Unita), differenti generazioni e diverse classi sociali di appartenenza. Che restituisce “autobiografie plurali”, insieme uniche ma paradigmatiche. Al di là dei proclami apologetici di una presunta cultura dell’onore e del rispetto, ascoltando i racconti delle donne di mafia risalta la frequenza e la varietà delle violenze, anche fisiche, cui sono sottoposte. Storie di abusi, di botte, di imposizioni che in non poche occasioni spingono queste donne a pensare al suicidio, come unica via di uscita ad una situazione non più sopportabile o indicano nella morte l’unico epilogo possibile di uno strenuo e faticoso tentativo di ribellione. Ma accanto a queste storie ce ne sono altre, altrettanto dolorose. Nelle quali le donne incitano all’odio e alla vendetta, familiarizzano i figli a un orrore che diventa routine, a una complicità diffusa che legittima altrettanto diffusi processi di de-responsabilizzazione. |