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Il contributo prende le mosse da un dato apparentemente scontato, cioè che il trecentesco Palazzo Chiaromonte, matrice della letteratura artistica novecentesca per definire l’architettura del XIV secolo, avesse sempre goduto di una significativa rinomanza. Si è voluto invece dimostrare che, fino ai restauri del soffitto chiaromontano alla fine del XIX secolo, in realtà l’edificio fosse considerato poco rappresentativo anche e soprattutto come modello di architettura indigena. Si sono prese in esame le fonti principali, alcuni resoconti dei viaggiatori del Grand Tour e soprattutto si sono passati in rassegna gli esemplari di architettura neomedievalista ottocentesca in Sicilia che rimandassero al quel prototipo, mostrando, per la prima volta, come i casi fossero assai rari e più che altro legati a motivazioni contingenti. Nel corso della prima parte del Novecento, al contrario, si assiste innanzitutto alla riscoperta del soffitto ligneo dipinto, proprio a causa dei restauri, mentre fino ad allora era sostanzialmente ignorato, i quali interventi di recupero aprono un crescente interesse nei confronti del manufatti e che vedono il coinvolgimento di Arrigo Boito, Adolfo Venturi, Giulio Ulisse Arata, Enrico Mauceri e la menzione dell’edificio su riviste nazionali come “Emporium”. Ciononostante, si è voluto dimostrare come la visione del tetto dipinto presso la committenza aristocratica palermitana non avesse aperto alla fortuna delle scene cortesi, se non superficialmente, mantenendo, invece, un approccio già riscontrato nella prima parte dell’Ottocento, e messo in evidenza da Bologna, prevalentemente nel considerarlo un mero repertorio nobiliare. In tale direzione vanno alcuni degli esempi neogotici novecenteschi che ricalcano, in un caso, esplicitamente anche i motivi decorativi di quel soffitto, confermando un’influenza diretta dell’opera in senso conservatrice e autorappresentativa della nobiltà isolana. |