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Al cuore di questo lavoro vi è la proposta di (re)imparare a leggere le tragedie greche in un ambito di ricerca che guarda per prima cosa alla filosofia come al più virtuoso esercizio del vivere – pienamente e praticamente la nostra umanità – così come, sebbene in maniera diversa, nelle opere di Baracchi, Hadot e Màdera. La ricerca volge uno sguardo accogliente verso quei saperi e quei lavori psicopedagogici che a oggi sembrano territori profondamente accidentati – incerti almeno dal punto di vista epistemologico e scientifico – . Filosofia e pedagogia si incontreranno dunque a partire dalle criticità riscontrate nel lavoro pedagogico contemporaneo; dialogheranno e si contamineranno reciprocamente, all’interno delle grandi cornici simboliche che riguardano Dioniso e il suo personaggio, così come viene rappresentato nelle Baccanti di Euripide. La ricerca si innesta su un fondale epistemologico che appare rapsodico e molteplice, cucito insieme da un methodos, cioè la filosofia intesa come modo di vivere. Essa è il fil rouge, una comune postura metariflessiva che vuole rendere affratellate e ricucite alla vita e al divenire le teorie sulle quali si poggia la ricerca. Si analizzerà principalmente la collaborazione tra il filologo Karoly Kerényi e lo psicoanalista Carl Gustav Jung, almeno per quanto riguarda una critica all’archetipo e al mitologema; la scuola antropologica francese di Vernant, Detienne e Loraux, e parte delle eredità letterarie di Bernhard, Frye e Heidegger. Gli sguardi e le vite di questi autori offrono alle scienze umane nuove possibilità connettive reciproche, e sorprendenti prospettive di umanità. Rilette in questo modo, le scienze illuminano diversamente tanto la filosofia quanto le professioni educative, pedagogiche, e quelle legate più ampiamente al mondo della cura e del sociale. Tutte queste professioni sembrano sempre più assetate di un sapere-altro, un sapere simbolico che riempia di senso l’agire, oltre a quello tecnico e (ri)abilitativo – per lo più richiesto dalla sanitarizzazione forzata dei servizi rivolti alla persona e che, giorno dopo giorno, sta in parte rivelando il suo fallimento umano – . La domanda potrebbe allora diventare: in che modo Dioniso ci riguarda tutti e riguarda allo stesso tempo ciascuno di noi, individualmente? Può essere utile scientificamente parlare di mitologia, nella sua dimensione originaria, più profonda e radicale – ammesso che ve ne sia una – ? E quanto questa nuova mitologia del corpo, incisa nella biografia di ciascuno, inspiro ed espiro di mondo, sarà aderente ai tempi che corrono, contemporanea, attualizzata, rielaborata? Alla base di questa ricerca vi è un grande implicito: la speranza che sia sempre e comunque possibile l’opera del ricucirsi. Si troverà nella proposta di una lectio philosophica il vero e proprio antidoto allo smembramento del nostro tempo – e non solo di noi individui con le nostre più o meno tragiche esistenze, ma anche di noi come comunità politicamente allo sbando – , antidoto rappresentato così bene da Dioniso, il daimon, il dio bastardo. La ricerca è strutturata come fosse una rappresentazione tragica, evidenziando così il particolare processo di mimesis – riscontrabile nella relazione tra baccante-adorante e Bacco-adorato – , per il quale tutto ciò che viene toccato da Dioniso tende ad assomigliargli. A ogni momento di questa ricerca-tragedia corrisponde un significato e così l’introduzione diventa un prologo e i capitoli, nel corso del lavoro, vengono via via a essere ingressi danzanti (parodoi); momenti di metariflessione epistemologica (stasimoi); nuclei centrali della tragedia stessa (epeisoida). La sutura e il ricucire diventa dunque l’operazione, il tentativo e l’invito centrale espresso dal lavoro, che ne è in qualche modo un’imprescindibile quanto personale testimonianza. Ne diventa un percorso tanto scientifico quanto, provocatoriamente, spirituale. At the heart of this work is the proposal to (re)learn to read the Greek tragedies in a field of research that looks first to philosophy as the most virtuous exercise of living – fully and practically our humanity – as well as, although differently, in the works of Baracchi, Hadot and Madera, to name a few. The research casts a welcoming gaze to those knowledges and to those psycho-pedagogical works which today seem territories deep rough – uncertain and hard at least from the epistemological side – . Philosophy and pedagogy will meet then from critical issues found in contemporary pedagogical work; they will dialogue and interact with each other, within the great symbolic frames regarding Dionysus and his character, as it is represented in Euripides’ Bacchae. This research engages on a manifold and rhapsodic epistemological backdrop, sewn together by a methodos, i.e. the philosophy as a way of life. It is the common thread, a meta-reflexive posture who wants to make adherent to life the theories on which rests the research itself. Mainly it analyzes the collaboration between the philologist Karoly Kerényi and psychoanalyst Carl Gustav Jung, at least with regard to a critical thinking on archetype and mythologem; moreover, the French anthropological-classical studies of Vernant, Detienne and Loraux, and part of the literacy of Bernhard, Frye and Heidegger. Gazes and lives of these authors offer new mutual and connective possibilities to the humanities or surprising prospectives of humanity. Reread this way, science can be illuminated by philosophical practices as well as social works and pedagogy, and more widely, by all those professions related to the world of social care. All these professions seem increasingly thirsty for a different knowledge, a symbolic one that can fill up and keep together technical actions with sense, i.e. a philosophical way (to live to). The question would then be: how Dionysus affects us all and how does he concern each of us individually, at one? May be useful today a scientific discourse on Mythology, in its original dimension, more profound and radical – assuming it ever existed –? And will this new embodied mythology, engraved in the biography of each one of us, breathe and exhale of world itself, be adherent to the current times, contemporary, updated, reworked? At the base of this research there is a great implicit: the hope that it will be always possible the work of sew again together. In the proposal for a lectio philosophica would there be the real antidote to the dismemberment of our time – and not only of us individuals with our more or less tragic lives, but also of us as a community politically adrift –, antidote so well embodied by Dionysus, the daimon, the bastard god. The research is structured like a tragic representation, thus highlighting the particular process of mimesis – reflected in the relationship between bacchae-adoring and Bacchus-adored –, process for whom everything is touched by Dionysus tends to look like him. Every moment of this research-tragedy has a meaning and so the introduction becomes a prologue and chapters are as well dancing entrance (parodos); moments of epistemological metareflexion (stasimoi); central actions of the tragedy itself (epeisoida). The suture and the mend therefore becomes the operation, the will and the invitation expressed by the work, which is somehow an essential as personal testimony. It became a scientific and, also provocatively, a spiritual and genealogical path. |