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Forse, ad uno sguardo frettoloso, può apparire un po’ inconsueto approcciare il tema del movimentismo sociale parlando di adozione, ed in particolare di adozione internazionale, poiché sebbene l’attivismo della società civile sui temi della famiglia – e di tutti i suoi attributi ancorchè biologici – sia cosa sentita, diffusa e radicata, l’esperienza adottiva registra nel suo complesso – quantomeno nella doxa del senso comune – un sentimento di distanza dal quotidiano della vita sociale. Viceversa, in Italia si contano centinaia di associazioni di famiglie adottive, peraltro non tutte censite, un fenomeno distintivo della nostra realtà sociale nello scenario complessivo dei cosiddetti Paesi ‘riceventi’, che testimonia della diffusione esponenziale di un’esperienza tanto privata quanto sempre più inscritta nelle ideologie del mondo globale. E se per un etnografo non è il movimento in sé ad essere l’oggetto del suo studio, quanto il più ampio campo sociale al cui interno opera, è pur vero, a mio avviso, che lo sforzo riflessivo antropologico non può non tener conto della dimensione soggettiva che, all’interno di quel campo e nella scelta movimentista, cerca di ricomporre un orizzonte di senso – spesso molteplice e contraddittorio - laddove il senso appreso sembra essere andato incontro ad una “frattura”. Utilizzando strategie etnografiche ‘discontinue’ – sia localizzate che multiposizionate – il mio contributo intende, dunque, mettere in luce l’attivismo adottivo come luogo critico di itersezione – e, come vedremo, di interazione - tra campo adottivo ed esperienza privata dell’adozione. |