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2007/2008 Il codice di rito penale non dà alcuna definizione della locuzione «intercettazioni di conversazioni o comunicazioni». Non di meno, dal «sottosistema normativo» ) deputato a regolare il mezzo di ricerca della prova di cui trattasi (artt. 266 – 271 c.p.p.) si ricava che intercettazione è qui sinonimo di captazione clandestina di comunicazioni o conversazioni riservate, esperita mediante l’impiego di strumenti meccanici o elettronici in grado di vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del carattere privato di queste ultime, effettuata ad opera di terzi, all’insaputa degli interlocutori ). Dalla definizione che precede – essenziale al fine di sagomare il perimetro applicativo dell’articolato in esame – parrebbe arguirsi, per un verso, che le comunicazioni riservate cui supra si è fatto cenno siano (solo) quelle attuate in forma diversa dallo scritto ); per l’altro verso, che l’attività intercettiva di cui al Libro III, Titolo III, Capo IV del codice sia (solo) quella compiuta con l’ausilio di strumenti tecnici di captazione del suono, «in grado di fissare l’evento comunicazione, onde consentirne una prova storica diretta» ), non anche quella attuata per mezzo delle comuni facoltà sensoriali umane. Se la prima tesi è corretta, la seconda sembra perfettibile. Focalizzando l’attenzione sul (solo) impiego di strumenti meccanici o elettronici, infatti, si addiverrebbe a legittimare «interferenze nella segretezza delle comunicazioni» ) non regolate dalla legge e però idonee a procurare al processo contributi conoscitivi utilizzabili. Esempio classico, quello dell’operatore di polizia giudiziaria, che, nascostosi agli interlocutori, percepisce proprio aure un dialogo segreto. Tale captazione, siccome non attuata mediante strumenti tecnici, se, da un lato, non costituirebbe «intercettazione», dall’altro lato, verrebbe ad essere utilizzata nel processo per il tramite della testimonianza dell’operatore di polizia giudiziaria, «senza la garanzia rappresentata dalla registrazione del contenuto della comunicazione» ). Alla luce di quanto precede, appare allora opportuno ricomprendere nel novero delle attività intercettive «vere e proprie» anche la captazione di comunicazioni segrete che avvenga in modo “comunque” clandestino o insidioso ). Ciò a prescindere dall’uso di congegni di percezione del suono che la legge processuale non esige a ché possa parlarsi di «intercettazione»: se è pur vero, infatti, che l’art. 268 comma 3 c.p.p. menziona, quale mezzo dell’intercettazione, gli «impianti installati nella procura della Repubblica», è altrettanto vero che siffatto richiamo non possa che avere riguardo alle intercettazioni telefoniche, telegrafiche, informatiche e telematiche, non anche alle intercettazioni di conversazioni inter praesentes, le quali, per loro stessa natura, non possono essere effettuate con impianti fissi. La qual cosa conduce a ritenere che il riferimento agli impianti di cui trattasi «[sia] ininfluente nella definizione del concetto di intercettazione» ). Definita in positivo la nozione di «intercettazione», preme evidenziare come da essa esulino vuoi le intercettazioni di frequenze presenti nella ionosfera accessibili da parte di chiunque – «non esiste tutela del veicolo semiotico nello spazio libero» ) –, vuoi l’impedimento e l’interruzione delle comunicazioni ) – mentre «l’indesiderata cognizione d’un dialogo ne pregiudica […] l’integrità sotto il profilo della segretezza, l’atto interruttivo o impeditivo ne mettono in pericolo solamente la libertà» ) –. In quest’ottica, di intercettazione non pare si possa parlare nemmeno nel caso di “controllo telefonico” di cui all’art. 284 comma 4 c.p.p. Come noto, se il comma 2 del citato art. 284 c.p.p. consente al giudice di imporre all’imputato in arresti domiciliari limiti o divieti alla facoltà di comunicare con persone terze che con lui non coabitano o che, comunque, non lo assistono, il menzionato comma 4 autorizza il pubblico ministero e la polizia giudiziaria – quest’ultima «anche di propria iniziativa» – a controllare in ogni momento l’osservanza delle prescrizioni in parola. Orbene, se nessuna perplessità si pone circa il fatto che ricorra qui una ipotesi di «impedimento» da parte dell’autorità – la norma de qua sembra consentire senz’altro di disattivare l’utenza telefonica in uso al prevenuto ) –, meno agevole è comprendere se l’art. 284 comma 4 c.p.p. introduca un ulteriore caso di intercettazione volto a controllare l’osservanza degli obblighi accessori di cui trattasi. In dottrina, accanto a chi ha affermato che la sorveglianza avverrebbe, in siffatte ipotesi, non mediante intercettazione, bensì tramite «ascolto» – «e cioè attraverso un controllo del contenuto delle telefonate […] ordinato (o autorizzato) con lo stesso provvedimento che dispone gli arresti domiciliari o […] con provvedimento successivo notificato all’interessato» –, giungendo, per questa via, a fornire al quesito risposta negativa ), si è posto chi ha concluso positivamente, reputando, tuttavia, che la captazione sia legittima solo se autorizzata dal giudice con decreto motivato ). Soluzione, quest’ultima, che, se, per un verso, si appalesa senza dubbio alcuno apprezzabile in chiave garantistica, per l’altro verso, non sembra perfettamente compatibile con il dato testuale, il tenore letterale del quale autorizza la polizia giudiziaria ad esperire i necessari controlli «anche di propria iniziativa» e, dunque, anche in assenza di preventiva autorizzazione da parte del giudice. Né pare che la soluzione del problema possa essere individuata nell’automatica estensione alla fattispecie in esame della disciplina di cui al Libro III, Titolo III, Capo IV del codice, atteso che «i presupposti di un mezzo istruttorio non sono automaticamente adattabili ad una misura cautelare» ). Escluso, dunque, che ricorra qui una ulteriore ipotesi di intercettazione, sembra corretto affermare che la norma in commento abbia inteso fare implicito riferimento ad altri istituti idonei allo scopo, quali quelli dell’acquisizione dei dati esteriori delle comunicazioni ) o, volendo, del materiale impedimento delle stesse da parte dell’autorità ). XX Ciclo 1976 |