Nazioni e postcolonialismo in Asia centrale vent'anni dopo: ripensare le categorie di analisi e le categorie della prassi
Autor: | Abašin, Sergej |
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Jazyk: | italština |
Rok vydání: | 2022 |
Předmět: | |
DOI: | 10.15162/2282-5681/1580 |
Popis: | A Sergej Abašin, uno dei maggiori studiosi russi dell’Asia Centrale, è capitato di trovarsi in Uzbekistan il 21 agosto 1991, giorno in cui a Mosca ebbe luogo il colpo di stato contro Gorbačëv. Tale esperienza lo ha indotto a fare propria la posizione simbolica di un osservatore esterno che però guarda agli eventi del 1991 da un punto di vista centroasiatico. Come afferma Abašin, la storia della frantumazione dell’Unione Sovietica e la sua interpretazione variano a seconda della prospettiva di osservazione. Il suo saggio è quindi un tentativo di dar conto del crollo dell’URSS tramite un’analisi delle trasformazioni avvenute nell’Asia Centrale postsovietica. Abašin mette in discussione l’universalità e la natura tautologica di tropi quali «nazionalismi locali», «nazionalismi delle élite locali» o «società postsovietiche». Egli mette in rilievo il fatto che in tutti i paesi della regione il processo di costruzione nazionale è ancora in corso ed è influenzato da particolari congiunture locali di molteplici fattori, non tutti ascrivibili ad un qualche «retaggio sovietico». Egli illustra le specificità di queste congiunture in Tagikistan, paese che fa appello alla propria diaspora e che è disperatamente in lotta contro l’alternativa islamica; in Kazakistan, paese in cerca di una formula di coesistenza con la sua comunità russa in Kirghizstan, paese che sta faticosamente cercando di preservare l’unità delle sue élite; e così via. Abašin fornisce delle ragioni per spiegare perché l’Uzbekistan sia diventato il paese-guida della desovietizzazione nella regione, e perché l’élite uzbeka utilizzi con estrema ostinazione una retorica postcoloniale. Infine l’autore nega validità all’applicazione all’Asia Centrale degli ultimi vent’anni di qualsiasi modello monologico di sviluppo, soprattutto se quest’ultimo pone l’accento sull’unicità di tale sviluppo. One of the leading Russian specialists on Central Asia, Sergei Abašin happened to be in Uzbekistan on August 21, 1991. This experience inspired him to assume the symbolic position of an outside observer who nevertheless looks at the events of 1991 from the Central Asia perspective. As states, the breakup of the Soviet Union had its own history and interpretation depending on the point of observation. His essay is thus an attempt to make sense of the breakup of the USSR through an analysis of post-Soviet transformations in Central Asia. Abašin questions the universality and self-explanatory nature of such tropes as «local nationalisms», «nationalisms of local elites», or «post-Soviet societies». He stresses that the process of nation building continues in all countries of the region and is influenced by specific local conjunctures of multiple factors, not all of which can be traced to some «Soviet legacy». He illustrates the specifics of these conjunctures in Tajikistan, which appeals to its diaspora and desperately fights with the Muslim alternative; in Kazakhstan, which is searching for a formula of coexistence with its Russian community; in Kyrgyzstan, which is painfully trying to preserve the unity of its elites, and so on. He suggests reasons as to why Uzbekistan became the leader of de-Sovietization in the region, and why the Uzbek elite most persistently employs postcolonial rhetoric. Finally, he denies the validity of any monologic (post-Soviet, or postcolonial, etc.) model of development of Central Asia in the past twenty years, especially if such a model insists on the uniqueness of this development. Nazioni e Regioni, N. 4 (2014) |
Databáze: | OpenAIRE |
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