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Tra quelle che sono state evidenziate come caratteristiche tipiche dello stile di Boris Vian (1920-1959), spicca ciò che Jacques Bens (1963) ha definito “langage-univers”. Con questo termine, Bens indica la capacità vianesca di creare mondi e situazioni con e attraverso il linguaggio, in particolare attraverso la presa alla lettera di locuzioni ed espressioni idiomatiche ormai non più percepite nel loro significato composizionale. Tale uso rimette prepotentemente in discussione l’illusione di una corrispondenza tra realtà e linguaggio, riportando quest’ultimo e, attraverso di esso, la materialità del testo costantemente in primo piano. Tale stile è, per di più, fortemente radicato nella lingua di partenza e nei suoi idiomatismi, un fatto che rende la sua traduzione alquanto problematica. L’articolo analizza le strategie di traduzione del “langage-univers” in due traduzioni italiane del più celebre romanzo vianesco, L’Écume des jours (1947). Di particolare interesse risulta la distanza cronologica tra i due testi, uno (A. Donaudy) realizzato a metà degli anni sessanta e mai più ristampato, l’altro (G. Turchetta) pubblicato a quasi trent’anni di distanza, nel 1992, e costantemente riproposto dall’editore. Una breve introduzione al testo di Vian e al suo linguaggio verrà seguita dalla presentazione delle due traduzioni italiane e dalla loro rispettiva collocazione nel panorama editoriale; si passerà poi all’analisi vera e propria della resa del “langage-univers” nei due testi, per cercare di capire se e come la presa alla lettera del linguaggio figurato sia stata colta e riprodotta. |