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Il saggio riflette sul ruolo dei sostegni antropomorfi nella pittura decorativa dei Carracci. Dopo aver analizzato motivi loro noti da cui poterono trarre ispirazione (in particolare Correggio nel fregio in S. Giovanni a Parma, e Nicolò dell’Abate in palazzo Poggi a Bologna), prende in esame le opere eseguite dai Carracci in équipe. A proposito del fregio di Giasone in palazzo Fava, dopo un breve esame dell’insieme, indaga sul significato dei termini. Ne riconosce il legame con i putti e i marmi ‘animati’ creati da Nicolò rispettivamente nelle stanze di Camilla e dei Paesaggi, ne mette alla prova il rapporto con l’antico, e ne puntualizza la funzione ornamentale, priva di reale allusione all’idea di supporto. Esamina in seguito il fregio con Storie di Romolo e Remo di palazzo Magnani, studiandolo attraverso i disegni, veri e propri progetti di messa a punto della struttura ornamentale. Emerge lo sviluppo dell’idea degli atlanti, che da potenziali supporti antropomorfi si trasformano quasi nel loro ribaltamento (le figure appaiono di spalle, non reggono il cornicione, e in alcuni casi vi si appendono). Il saggio rileva dunque che non si tratta di un uso semplicemente ironico, ma provocatorio delle soluzioni ereditate dalla tradizione; ad esso si lega la soluzione trovata dai Carracci per il fregio con Storie di Enea ancora al palazzo Fava, dove i termini sono costituiti da Uomini che combattono arpie. Una soluzione dinamica, che drammatizza le figure per eccellenza statiche dei termini o atlanti, e di cui l’Autrice rimarca il significato squisitamente pittorico, contrapposto alla valenza architettonica propria tradizionalmente di questi elementi. Da ultimo, a proposito della volta Farnese a Roma, summa ricavata da Annibale dall’esperienza decorativa bolognese, alla luce della conoscenza dell’antico e del moderno a Roma, l’attento studio del risultato e dell’iter progettuale mediante i disegni preparatori permette, in estrema sintesi, di concludere che nelle erme, atlanti, cariatidi dipinti sulla volta Annibale propone un paragone della pittura non solo con la scultura, ma anche con l’architettura, valorizzando i caratteri specifici della propria arte. |