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Oggetto delle nostre riflessioni è la Novella 7 di Maioriano, emanata a Ravenna il 6 Novembre 458, indirizzata al prefetto del pretorio Basilio. La produzione normativa dell’anno 458 è corposa, se così si può dire (una decina di leggi in tutto, cui seguono un paio fra 459 e 460) e coincide con una stagione di notevoli successi militari che questo imperatore, piuttosto sconosciuto, dal profilo modesto di generale gallo romano gradito al senato, dalla vita politica brevissima consegue ottenendo il consolidamento del controllo dell’Italia, dopo diversi mesi di instabilità seguita alla morte di Avito, e soprattutto della ripresa di quello sulla Gallia, avvalendosi di un contingente di Barbari assoldati - fra cui Ostrogoti, Burgundi, Unni e Alani e anche di due flotte stanziate a Classe e Miseno - e riuscendo ad avere la meglio sui Visigoti in Spagna e sui Burgundi nella valle del Rodano e a Lione. Tale affermazione, sebbene non destinata a durare (di ritorno dalla campagna in Africa, fu sconfitto da Genserico che lo cacciò dalla Mauretania e ne distrusse la flotta) come la sua stessa vita (ucciso da Ricimero al rientro in Italia), lo rese noto come restauratore dell’antico ‘apogeo’ imperiale, ricordato come tradizionalista che, alla maniera di Giuliano, tentò una sistematica riforma soprattutto amministrativa e giuridica, al cui interno, come ci dimostra proprio la Novella 7, intese certamente rafforzare i controlli burocratici sui curiali, sullo svolgimento dei loro compiti in città e contro la loro fuga. La legge era destinata ai territori ‘riconquistati’, forse all’Italia meridionale, sicuramente alla Gallia, visto che è una delle due Novellae di Maiorano inserite nel Breviarium, delle dodici a noi note. L’interpretatio che l’accompagna richiama espressamente precedenti leggi del Codice Teodosiano. La Novella di Maiorano intende chiaramente mettere un punto fermo e complessivo per disciplinare il regime dei curiali specie sulla eventualità che essi fuggano nelle campagne, impoverendo le città e soprattutto i ruoli che essi sono tenuti a svolgere. E perciò ha un respiro molto ampio, prevedendo tipologie diverse di situazioni, ruotanti intorno al fatto che costoro cerchino rifugio/protezione altrove rispetto alla curia e alla città (nei latifondi, nella Chiesa). E si concentra fra i vari aspetti sull’evenienza che i fuggitivi abbiano trovato accoglienza in fondi, da padroni che li hanno ospitati, magari consentendo o avallando unioni con loro schiave e colone. |