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PREFAZIONE La notorieta'di Pompei, fin dai primi rinvenimenti nel 1748, fu talmente ampia da diventare una meta imperdibile del Grand Tour. Il suo primato, fra i numerosi siti archeologici di epoca romana, deriva indubbiamente dalla tragica eruzione del Vesuvio del 79 d.C. narrata nelle due lettere che scrisse Plinio il Giovane allo storico Tacito descrivendo, con una attenta osservazione dell'incalzante susseguirsi delle fasi eruttive, il viaggio da Miseno a Stabia di suo zio, Plinio il Vecchio, e la sua morte all'alba del 25 agosto dopo aver trascorso la notte nella Villa del suo amico Pomponiano. Da sempre Pompei, ma anche Ercolano e gli altri siti vesuviani, hanno colpito l'immaginario collettivo per la loro improvvisa scomparsa insieme all'annientamento di ogni forma di vita a causa di un incontrollabile e catastrofico evento naturale. Luoghi dove risuonava spensierata la vita si trasformarono cos in luoghi dove regnava incontrastata la morte. I continui rinvenimenti di corpi, a partire dal primo tornato alla luce il 19 aprile del 1748, segnarono la storia della riscoperta di Pompei suscitando un generale interesse dove prendeva il sopravvento l'aspetto emotivo rispetto all'importanza del dato scientifico. Un momento fondamentale fu la geniale intuizione di Giuseppe Fiorelli, al di la'delle polemiche iniziali che suscito'sulla paternita'del metodo, di versare del gesso allo stato liquido nelle cavit rinvenute nello strato di cenere. E cos fra il 3 ed il 7 febbraio del 1863 risorsero le vittime dell'eruzione mostrando i lineamenti dei volti e la forma dei corpi oltre ai vestiti che indossavano in quel fatale giorno. Le impronte cosi'ottenute entrarono immediatamente nell'immaginario di quanti si recavano a Pompei e furono riprodotte dai piu'celebri fotografi della seconda meta'dell'Ottocento ed inseriti negli Album che venivano acquistati dai visitatori come ricordo del loro viaggio in Italia. Le sensazioni a volte morbose che suscitavano le impronte, come nel romanzo Nerinda'di Norman Douglas, accompagnarono la progressiva riscoperta della citta'e non ci fu rinvenimento che non venisse ricordato nelle relazioni di scavo e nella stampa contemporanea accompagnato da una emozionale ricostruzione degli ultimi attimi di vita e da tentativi di identificazione delle vittime. Con la presente pubblicazione ci siamo posti l'obiettivo di ricostruire nella prima parte il susseguirsi delle fasi eruttive sulla base delle due lettere di Plinio il Giovane insieme ai piu'recenti dati vulcanologici ed archeologici, facendo riferimento alla data canonica del 24 e 25 agosto, mentre nella seconda parte abbiamo esposto cronologicamente i principali rinvenimenti di impronte a partire dal 1863 fino al 2002. L'apparato iconografico del testo e'costituito in gran parte dalla documentazione fotografica contemporanea ai rinvenimenti delle impronte ed eseguita, per quanto riguarda la seconda met dell'Ottocento, dagli ateliers di Giorgio Sommer, Robert Rive, Achille Mauri, Giacomo Brogi, Michele Amodio e dei fratelli Achille e Pasquale Esposito. Il nostro contribuito, ponendoci l'obiettivo di rendere il testo agile e facilmente fruibile al lettore, si inserisce nell'ambito degli studi sui piu'diversi aspetti del patrimonio informativo che ha restituito quanto e'stato riportato alla luce fino ad oggi delle citta'vesuviane e che ancora potrebbero fornire se venissero riprese le campagne di scavo. Ma la sfida attuale e per la quale e'necessario l'impegno di tutti non e'certo quella di intraprendere nuovi scavi bens di rallentare il degrado dei siti vesuviani tentando di conservare, valorizzare e consegnare al futuro il risultato di oltre 250 anni di ricerche. Problema che gi si era posto Salvatore Di Giacomo nel 1896 nello scrivere un breve testo, dopo una sua visita a Pompei e nella Casa dei Vettii, di cui proponiamo un brano particolarmente significativo e sul quale tutti noi dovremo meditare: É.Ma perche'non si |